sabato 10 dicembre 2011

Carli Cristoforo: medico di " Little Crow" capo Sioux

Quest'italiano rappresenta quel tipico personaggio che spesso è presente nei film e nei romanzi western. Parliamo dell'onnipresente medico sempre disponibile a prestare la propria opera a chiunque ne avesse bisogno e sempre pronto, nonostante i rischi e la scarsità dei mezzi, a raggiungere i più inospitali e selvaggi territori per portare conforto ai malati. Affettuosamente chiamato "doc" quest'uomo gode di grande rispetto e considerazione. Nelle sue abili mani i pionieri ripongono la propria vita.Uno di questi è certamente Carli Cristoforo. Cristoforo, nasce a Francoforte il 7 dicembre del 1811 da una coppia di veneti residenti in Germania. Il padre, ricco mercante, permette al giovane di frequentare i più famosi istituti scolastici. A sedici anni, seguendo i consigli paterni, frequenta, con ottimo profitto, il Ginnasio di Heidemberg. Nella stessa città completa gli studi presso la famosa Università specializzandosi nel 1831 in materie letterarie e mediche. Alcuni giorni dopo il conseguimento della laurea, spinto da quel sano spirito d'avventura e dalla fame di conoscenza, caratteristica presente nell'animo della maggior parte dei veneti, s'imbarca nel porto di Brema sul veliero “Constitution”. Dopo ottantotto giorni di dura navigazione il vascello attracca nel porto di New York. E' l'8 febbraio 1832. Cristoforo, è uno dei primi pionieri che si spinge nell'interno dell'impervia e gelida regione dell'Eire. Infatti, dopo appena due mesi dal completamento della costruzione del canale dell'Eire, l'avventuroso italiano, naviga il grande lago e raggiunge Buffalo dove, per circa tre anni, esercita la professione di medico negli accampamenti dei cacciatori di pelli, dei taglialegna e dei minatori. Qui si dedica anche alle cura dei bellicosi indiani Uroni, Seneca ed Irochesi che vivono lungo le rive dei grandi laghi e che spesso ricorrono, anche se malvolentieri, alle cure dello Stregone Bianco. Cristoforo, come nella migliore tradizione western, prima di sistemarsi in qualche sperduto angolo delle meravigliose terre americane trascorre alcuni anni da vero pioniere. Da Chicago, città nella quale vive per circa due anni, si sposta a New Orleans in Louisiana da dove raggiunge il territorio del Wisconsin per risalire il fiume Mississippi. In questa regione si stabilisce per un breve periodo nella località di Great Cloud Island. Prima di terminare l'avventuroso girovagare per le terre del nuovo mondo, il medico veneto, compie un ultima tappa nello Stato del Minnesota. Qui, nel maggio del 1842, si stabilisce definitivamente nel territorio di Lake Saint Croix dove, in compagnia del maggiore J.R.Brown, costruisce la prima abitazione di tutto il territorio. La casa è costruita di tronchi d'albero di larice ed è di due piani dove vi è sempre un grande fuoco che riscalda l'ambiente principale. L'abitazione, primo nucleo di una cittadina che verrà chiamata Stillwater, diviene un punto di riferimento per tutti i cacciatori, avventurieri e coloni della zona siano essi bianchi, meticci ed indiani. Qui, il Medicine Men Carli Cristoforo, intrepido pioniere italiano, esercita la professione medica andando a visitare anche le famiglie che abitano nei più sperduti avamposti non lesinando come sempre le cure agli indiani. Tanto è vero che fra i suoi pazienti vi è anche la figlia di Little Crow, capo della nazione Sioux, alla quale non fa mancare mai l'assistenza anche quando l'accampamento è distante centinaia di miglia da Stillwater. Si racconta che in una di queste circostanza, Cristoforo, percorra più di trenta miglia sul ghiaccio utilizzando dei rudimentali pattini per andare a visitare il capo Little Crow al campo di Red Wing. Durante il tragitto, Cristoforo, è preceduto da una esperta guida indiana mandata da Little Crow la quale controlla la solidità e la resistenza del ghiaccio. Comunque, l' impegno più grande di Cristoforo è quello di favorire lo sviluppo della cittadina di Stillwater di cui è coofondatore e nella quale è eletto membro nel primo Consiglio Comunale. In questa città il pioniere veneto mostra tutta la sua lungimiranza, capacità, cultura e preparazione aprendo in stretta successione la prima drogheria, la prima farmacia e la prima banca. L'italiano è nominato medico della contea diventando membro e presidente della Minnesota State Medical Societies. Nell'inverno del 1859, ai primi sinistri squilli di tromba che annunciano lo scoppio della guerra civile, Sibley, governatore del Minnesota, lo nomina chirurgo della Milizia del Minnesota. Alcuni anni prima e precisamente nel 1847, Cristoforo, sposa la vedova Lydia Ann dalla quale ha sette figli. Lydia Ann, raggiunge Stillwater e si stabilisce nella ormai famosa casa costruita da suo marito. La casa è chiamata affettuosamente dagli abitanti del distretto “ Old Tamarack House”. Sono tempi duri e bui. La signora Carli è una delle pochissime donne bianche che vive in quei territori dello stato del Minnesota. A volte, purtroppo, trascorrono lunghissimi mesi di gelido inverno prima di vedere l'arrivo di qualche altro colono bianco. Se non fosse stato per la biblioteca del maggiore Brown e per le note del suo violino sarebbe stato molto difficile vivere d'inverno a Stillwater. Cristoforo Carli, medico e chirurgo veneto, pioniere delle gelide terre del nord America, muore a Stillwater intorno al 1877.



sabato 12 novembre 2011

John Bell è Giovanni Belli

John Bell è uno dei primi  pionieri e colonizzatore delle gelide terre del nord America. Di quest'uomo non si conosce molto a parte il fatto che è nato in Italia nel 1763 dove riceve una prima preparazione scolastica e militare. Belli giunge in America intorno al 1784 proprio alla fine della guerra di indipendenza americana. Per circa dieci anni non vi sono evidenti tracce circa le sue attività in terra americana. Solo nel 1793 si apprende che, Giovanni Belli, entra in contatto con il Presidente Washington e con il Segretario Generale della Guerra il generale Henry Knox. Nello stesso periodo il generale Wayne è impegnato nell'organizzare di una armata per marciare contro gli indiani ostili e nella circostanza, Belli, è nominato Commissario Generale dell'Armata (Deputy Quarter Master). Egli ha il compito di approvvigionare tutti i reparti di vettovagliamento, indumenti, di scarpe e di munizioni. La  figura di Commissario Generale, sino ad allora assente nell'organizzazione militare degli Stati Uniti d'America è concessa per la prima volta nella storia americana all'italiano Giovanni Belli che ricopre il ruolo con zelo e riconosciuta competenza dal 1792 al 1794. Sempre in questa veste Belli si reca a Philadelphia per acquistare suoli nei territori di Turkey Creek. Al termine di questo suo incarico governativo viene congedato dal Dipartimento della Guerra dal quale riceve un premio di circa 500 dollari. Una volta lasciato l'esercito si impiega presso Mr. Parker, Commissario Generale del Governo per la  gestione dei territori indiani,  per organizzare le vendite dei terreni a ridosso della città di Alexandria. Il maggiore italiano, il 3 Giugno del 1789, per conto del Colonnello Thomas Parker della Contea di Frederick in Virginia registra a tutti gli effetti di legge la nascita ufficiale di Alexandria City. Successivamente, Belli,  si trasferisce nello stato del Kentuky dove è l'editore del primo giornale di Lexington. Comunque prima di ciò nel 1795, Belli, acquista un appezzamento di terra a ridosso del Turkey Creek nella Contea di Scioto dove costruisce un piccolo insediamento che i coloni chiameranno sin dal primo momento Belli's Town. Un altra memorabile impresa del colono italiano è costituita dall'esplorazione dei territori lungo il corso dell'Ohio River effettuata nel 1807 così come narra Fortescue Cuming nel suo libro “Sketches of a Tour to the Western Country” stampato nel 1810. Giovanni Belli, l'italiano che ha vissuto e combattuto gli indiani d'America, trascorre, nel suo Ranch di Turkey Creek gli ultimi giorni di vita sino al 1809 anno in cui muore


domenica 6 novembre 2011

Il fiorentino Ferdinando Sannoner fonda la sua Firenze in Alabama

Florence City, è il capoluogo della Contea di Lauderdale  dell’Alabama  ed è considerata a giusta ragione il fulcro portante dell'economia di tutto il nord-ovest dello stato. Il suo fondatore è un intrepido pioniere toscano che risponde al nome di Ferdinando Sannoner (Sanona con pronuncia americana). Ferdinando nasce a Firenze il 1792 in una agiata famiglia della borghesia toscana. Si laurea in Ingegneria frequentando le ottime scuole della sua città. All'età di vent'anni, affascinato dall'avventurosa epopea napoleonica, si arruola tra le file dell'esercito imperiale. Ufficiale di buon rango compie un onorevole servizio attivo partecipando a diverse battaglie. In questo periodo, Ferdinando, frequenta ambienti facoltosi ed incontra gente importante ed  influente con i quali stringe stretti legami di amicizie che in futuro si manifesteranno molto utili per il suo avvenire. Terminata l'avventura napoleonica, all'età di ventiquattro anni, Ferdinando s'imbarca per l'America, dove, forte, di quelle credenziali conquistate in Europa riesce ad inserirsi facilmente nella vita  sociale dello stato dell'Alabama. Infatti, dopo pochi mesi dal suo arrivo nelle terre del nuovo mondo, riceve dalla Cypress Land Company l'incarico di supervisore generale sui lavori di mappatura dei territori. Durante lo svolgimento dei lavori di cartografia, Ferdinando, è coinvolto dai grandi  coltivatori di cotone della zona  nella risoluzione del loro più grande problema e cioè l'immagazzinamento del raccolto. Il problema è serio. Il cotone, una volta raccolto deve essere tenuto al coperto e all'asciutto. Per questa ragione, l'ingegnere italiano, nel   1818,  individua, lungo le rive del fiume Tennessee un territorio idoneo allo scopo. Ottenuto l’incarico dal generale Coffee, l’ingegnere toscano Ferdinand Sannoner,  pianifica e realizza le fondamenta della nuova cittadina.  Su questo ampio appezzamento di terreno le compagnie di legname e i grandi coltivatori di cotone costruiscono  una serie di grandi depositi seguiti  in breve tempo dalla realizzazione di  una chiesa, una scuola  e da un   municipio. Questo agglomerato di case ed edifici di legno, viene segnato sulle mappe catastali da Ferdinando Sannoner con il nome di   Florence in onore della sua città natale.  Ferdinando Sannoner non ha il tempo per assistere alle  brutture e alle distruzioni della guerra civile in quanto nel 1857 muore nella sua Firenze  dell’Alabama.

Il figlio di questo illustre pioniere  toscano cioè Sannoner J.H invece,  nasce a Florence nel 1826, e quindi  nell’anno 1860  allo scoppio della   guerra civile all’età di 34 anni  si arruola tra le fila delle truppe confederate con il grado di tenente. Partecipa alle più importanti  battaglie che si svolgono ad est del fiume Mississippi e al termine della sanguinosa battaglia di Shiloh   è nominato capitano per gli atti di audacia e coraggio mostrati in azione. J.H. Sannoner, dimostra  grande attaccamento e  fedeltà alla causa sudista  tanto che ben presto diviene un esempio per gli altri ufficiali. Si racconta che a Columbus in Georgia alla vigilia della fine della guerra, Sannoner, a  capo di un reparto di cavalleggeri viene isolato   dal grosso delle truppe  e, non essendo a conoscenza della resa del Generale Lee suo comandante, continua a combattere per la   bandiera finché non è fatto prigioniero. Terminata la prigionia,  J.H. Sannoner si  sposta a Menphis  in Tennessee  da dove, a causa di una epidemia di febbre gialla, è costretto a fuggire per ritirarsi definitivamente nel 1879 al Little Rock in Arkansas città nella quale diviene un agiato  commerciante di cotone. In questa città apre un grande emporio dove commercia  beni di prima necessità come alimenti,  munizioni, tabacco, alcool,  coperte, attrezzi e  sementi inserendosi a giusto titolo nella comunità cittadina. Diviene azionista e consigliere della banca della città e membro della chiesa episcopale. Sannoner J.H.  un altro italiano che ha fatto l’America  muore a Little Rock in Arkansas in età molto avanzata.

 


lunedì 31 ottobre 2011

Bressani Francesco Giuseppe, l' uomo chiamato cavallo

La storia del romano Bressani Francesco Giuseppe è incredibile. Nato a Roma il 06.05.1612, città nella quale frequenta gli istituti scolastici dell'Ordine di Gesuiti nei quali successivamente entra a far parte occupandosi di letteratura, filosofia e matematica. Nel 1642, dietro sua insistente pressione, insieme ad altri confratelli, parte per l’America per evangelizzare i territori del Canada precisamente la regione della Nouvelle France. In questa gelida regione, Francesco, trascorre due anni esplorando i territori di San Lorenzo durante i quali viene a contatto con le tribù di indiani Slave, Yellowknife, e Mountain. Per alcuni anni sino al 1644 vive nella regione del Quebec presso alcune tribù di Uroni dove apprende lingua, usi e costumi. Nell'aprile dello stesso anno nel corso di una imboscata da parte di una banda di guerrieri Irochesi, il gesuita italiano, è catturato insieme a un francese e ad un gruppo di Uroni. Nella circostanza gli Uroni facenti parte del gruppo sono immediatamente uccisi sul posto e privati dello scalpo mentre per Francesco inizia una tremenda esperienza. Infatti, insieme a una guida francese Bressani viene trasferito in uno sperduto accampamento lungo le rive dell'Hudson, dove inizia un periodo di prigionia durante il quale è sottoposto ad atroci supplizi e torture che lasciano evidenti segni sul suo già segnato corpo. Dopo una decina di giorni gli Irochesi si rendono conto dell'importanza e del prestigioso rango del loro prigioniero e quindi decidono di non ucciderlo. Lo trasferiscono in un accampamento più sicuro presumibilmente nella regione più a nord. Qui, gli Irochesi, pur di umiliare il gesuita riprendono a praticare indicibili torture e sevizie di ogni genere. Francesco, non può fare altro che rifugiarsi nelle preghiere. Ed infatti sono proprio le preghiere che gli permettono di sopportare e superare le dure giornate mentre nelle gelide notti stellate si distrae dedicandosi alla meticolosa osservazione delle fasi lunari. Intanto gli Irochesi non riescono ad ottenere dai francesi il giusto riscatto per la liberazione dell'italiano e quindi decidono di bruciarlo vivo. Ma Francesco, ancora una volta, è aiutato dalla sua Fede. Infatti, l'intervento di una donna indiana, alla quale era stato ucciso il padre qualche anno prima durante un attacco di guerrieri Uroni, evita al gesuita la tremenda esecuzione. La donna pretende che per i lavori pesanti, in cambio del padre morto, gli venga affidato il prigioniero. I capi dopo un breve consulto, decidono che la proposta della squaw è accettabile e quindi consegnano Francesco alla donna. La perfida donna utilizza Francesco come un animale da soma. Dall'alba al tramonto, con il gelo, con la pioggia o con la neve, Francesco, è impiegato nei lavori più umili e più pesanti in cambio di qualche boccone. Di notte è legato ad un palo e dorme fuori dalla tenda. In questo periodo, Francesco, scrive una lunga lettera al Padre Generale dell'Ordine datata 15 Giugno 1644 nella quale descrive le atroci sofferenze e torture al quale è sottoposto. Dopo alcuni mesi si ammala. La donna indiana, considerato che il povero Francesco non gli porta più alcun guadagno, si prodiga nel curargli alla men peggio le ferite nella speranza di poterlo vendere bene. Purtroppo le piaghe delle mani causate dal gelo non sono curabili e la donna è costretta ad amputare alcune dita per evitare la gangrena. Questa breve parentesi di cure e attenzione da parte della donna dura solo per qualche settimana sino a quando i cacciatori olandesi di Fort Osage, impietositi dalla sorte di Francesco pagano il riscatto per liberarlo. I militari olandesi dell'avamposto presso Albany (oggi New York) ottenuta la liberazione di Francesco lo riconsegnano ai francesi i quali, dopo un periodo di cure, lo rimandano in Europa. Ma Francesco ha molta nostalgia del nuovo mondo. Il richiamo di quelle terre incontaminate, gli spazi infiniti, la natura forte e selvaggia sono così presenti nel suo animo che sei mesi dopo l'arrivo a Roma, nella la primavera 1645, ottiene l'autorizzazione ad imbarcarsi di nuovo per l' America. Francesco sente di non poter abbandonare i suoi amici Uroni con i quali ha combattuto per difendere il villaggio dagli attacchi degli Irochesi. Giunto in Nuova Francia e precisamente a Trois-Rivières fa appena in tempo a partecipare ad una conferenza di pace tra le tribù degli Uroni ed Irochesi. Nella circostanza incontra i suoi vecchi aguzzini Irochesi. Purtroppo però la guerra tra le due tribù non cessa. Costantemente perseguitati dagli Irochesi le missioni degli Uroni vivono nel terrore. La situazione è tale che nel 1648, padre Bressani, decide di chiedere aiuto al Governatore francese. Per questa ragione si mette alla testa di un convoglio 250 guerrieri Uroni, e giunge nel Quebec dove riesce ad ottenere dalle autorità una scorta di dodici miliari ed un ufficiale per soccorrere un accampamento urone. Una flottiglia di sessanta canoe con a bordo i 250 Uroni e i 12 francesi si dirigono nei territori interessati dalle incursioni degli Irochesi. Ma la spedizione non giunge in tempo per portare aiuto all'accampamento di Sant Joseph che viene distrutto dagli Irochesi i quali nella circostanza uccidono più di 700 Uroni oltre al padre gesuita Daniel. La potente Nazione Urone è ridotta a poche centinaia di fuggitivi che si nascondono nelle foreste dei grandi laghi. Si racconta che durante un altro furioso attacco di Irochesi contro un accampamento Urone, Bressani, si prodiga ad andare loro in soccorso. L'italiano, si aggrega ad un convoglio formato da settanta francesi e un gruppo combattente Urone in partenza per il villaggio attaccato. Durante il percorso il convoglio è oggetto di una imboscata da parte di indiani Irochesi e Francesco nello scontro è ferito da una freccia alla testa. Ancora una volta nonostante tutto l'italiano riesce a salvare la vita. Bressani, stanco e debilitato nel fisico e nel morale, abbandona le foreste intorno al fiume di San Lorenzo e si sposta sul confine canadese-americano dove raggiunge alcune tribù di Carrier con i quali vive per un breve periodo. L'esperienza di integrazione con i costumi e con gli usi indiani è così ben riuscita che il gesuita italiano durante la sua permanenza negli accampamenti dei nativi acquista così tanto rispetto ed ammirazione che i guerrieri ormai lo considerano uno di loro e lo chiamano “ Uomo Medicina Vestito di Nero” (Black Dressed Medicine Men) L'ultimo periodo della esperienza americana, Francesco Bressani, la trascorre negli accampamenti degli Uroni con i quali condivide le vicissitudini e le paure della continua guerra con i feroci Irochesi. Dopo questa ulteriore permanenza, il pioniere gesuita, è costretto, a causa dei problemi di salute derivanti dalle ferite e dalle privazioni a tornare, in Italia. Francesco Giuseppe muore a Firenze il 9 settembre del 1672. Durante la sua vita scrive diverse relazione di cui la più importante è ristampata nel 1852 a cura e spese del governo canadese a riprova dell'alta considerazione di cui gode la figura dell'avventuroso pioniere ed esploratore romano.



domenica 23 ottobre 2011

Bertoldo Bartolomeo, è uno dei fondatori dell'American Fur Company


Che un uomo lasci la sua amata terra nella splendida Val di Non per raggiungere i selvaggi ed inesplorati territori del nuovo mondo è un impresa che a dir poco ha dell'incredibile. Questa è l'avventurosa storia di un cittadino del Trentino che all'inizio dell'ottocento spinto da una infrenabile sete di conoscere si trasferisce nelle terre americane. Bertoldo Bartolomeo ( nei libri di storia americani Berthold Bartholomew) nasce a Mocenigo, piccola frazione di Rumo in provincia di Trento, nel dicembre del 1780. Egli è un giovane intraprendente ed abile uomo d'armi che si arruola nelle milizie venete per opporsi all'invasione napoleonica dell'Italia. Nella sanguinosa battaglia di Marengo, Bartolomeo, è gravemente ferito al volto da un potente fendente che, nonostante le cure, gli sfregia in modo permanente il volto. Al termine dell'avventurosa epopea napoleonica, Bartolomeo, all'età di diciannove anni e precisamente il 17 giugno del 1789, lascia l'Italia e s'imbarca da Genova su un veliero che fa rotta verso l'America. In un primo momento si stabilisce a Philadelphia in Pennsylvania dove è naturalizzato cittadino americano, quindi raggiunge Baltimora in Maryland e infine St. Louis. In questa città, Bertoldo, in società con il pioniere francese Rene' Paul costituisce una società per il trasporto di derrate. Dopo qualche anno e precisamente il 10 gennaio del 1811 sposa l'unica figlia del maggiore Pierre Chouteau. Si stabilisce nella strada più importante di St. Louis dove costruisce un magazzino con annessa abitazione completamente in mattoni. Questa è l'unica costruzione in muratura esistente il tutto il territorio ad ovest del fiume Mississippi. Nel 1813, scioglie la società con Paul Rene' e costituisce con il cognato Pierre Chouteau Jr. con un capitale di 12.000 dollari la ditta “Berthold & Chouteau” che si ingrandisce ancor di più con l'ingresso in società di J. Pierre Cabanné, Bernard Pratte. Successivamente, la società collegata con le attività del celebre Jhon Jacob Astor diverrà una delle più ricche e potenti organizzazioni commerciale di tutto il Nord America con il nome di “American Fur Company”.Con questa compagnia mercantile, Bertoldo, fa ottimi affari divenendo in poco tempo uno dei più intraprendenti e ricchi cittadini di St. Louis. La città di St. Louis deve molto all'italiano il quale con il suo lavoro e impegno ha partecipato senza risparmiarsi allo sviluppo civile e sociale della comunità divenendone in breve tempo uno dei suoi simboli. Questo è così vero che nel 1856 la municipalità di St. Louis dedica al pioniere trentino una delle strade più importanti della città: Berthold Avenue. Nel 1846, Bartolomeo, è in North Dakota. Durante la permanenza in queste terre il colono italiano vive intere stagioni lungo le rive del Missouri. Qui acquista un piccolo forte che rappresenterà in futuro uno dei più estremi avamposti dell'American Fur Company. Il fortino originariamente è chiamato Fort James in onore del suo fondatore il trapper James Kipp che lo edifica nel 1845. La struttura non ha caratteristiche militari in quanto viene costruito nella parte a sud del Missouri come accampamento fortificato per il ricovero invernale dei cacciatori della regione. Dopo circa un anno il forte cambia nome. Infatti in onore del colonizzatore italiano il forte viene chiamato Fort Berthold. L'agglomerato di tende e capanne che si sviluppa intorno al forte diviene il primo nucleo di una cittadina ancora oggi esistente nella Contea di McLean. Il commercio di pelli lungo le rive del Missouri, sulle piste delle Rocky Mountains, nelle acque della Hudson Bay e sui gelidi confini canadesi si sviluppa in modo consistente grazie agli ottimi rapporti che la American Fur Company instaura con le tribù indiane. Berthold Bartholomew, colonizzatore italiano delle terre americane, è ricordato come un uomo colto, educato, dai modi raffinati ed eleganti. Parla correttamente l' inglese, il francese e lo spagnolo oltre all'italiano e il latino e qualche idioma indiano. A tal proposito si narra che, durante un soggiorno a St. Louis del famoso esploratore Lafayette, Bartolomeo, nel corso di un banchetto, trattiene gli ospiti francesi discutendo tranquillamente nella loro lingua. Bertoldo Bartolomeo muore nella sua St. Louis nel 1831 all'età di 51 anni. 

lunedì 5 settembre 2011

Frank Villa, veterano delle guerre indiane

Era tornato a vivere da reduce, veterano delle guerre indiane, nella sua fattoria alla periferia sud della città di Walla Walla nello stato di Washington. Questa è la storia di un genovese che partecipa alle guerre indiane in Nord America. Franco Villa nasce a Genova nel 1837 in una famiglia di contadini. I Villa sono così poveri che non hanno la possibilità di far studiare i figli tanto che il piccolo Franco riesce a malapena a raggiungere una minima istruzione elementare. E' per le stesse ragioni di carattere economico che, nel 1855, all'età di diciotto anni, emigra negli Stati Uniti d'America in cerca di fortuna. Dopo due mesi circa di navigazione, sbarca nel porto di New York dove cerca lavoro. Al genovese non interessa vivere nelle grandi città dell'evoluto est, egli aspira a raggiungere le lontane e selvagge terre dell'ovest. La strada migliore sarebbe quella di aggregarsi a qualche carovana di coloni. Ma l'avventura che da sempre esercita un particolare fascino sulla personalità di Franco Villa gli suggerisce un altra strada forse più difficile e più tortuosa. Difatti, a New York, vi rimane appena cinque giorni giusto il tempo per trovare un ingaggio su un vascello che fa rotta verso Nicaragua. Sbarcato in Nicaragua, Villa, con marce forzate lungo i sentieri o a seguito di qualche convoglio di carri o peggio ancora sul dorso di qualche mulo lungo le mulattiere attraversa i territori del Guatemala, dell'Honduras e del Messico e raggiunge la California. Si stabilisce nella Contea di Calavera dove vi risiede per sette lunghi e duri anni lavorando presso le miniere d'argento e d'oro. Villa, fa la sua prima esperienza con le tribù dei nativi. Incomincia a interpretare i segni e i colori che distinguono le varie tribù. Capisce subito ed in maniera inequivocabile che il guerriero Apache non deve essere provocato, non deve essere sottovalutato e deve essere lasciato in pace senza dimenticare mai di dedicagli una particolare attenzione. Franco, ormai, è capace di distinguere gli indiani ostili dai pacifici. Ma ciò non è sufficiente a tranquillizzarlo. Il quotidiano vivere, con il fucile a portata di mano sempre pronto ad essere usato al primo segnale di pericolo, non è affatto piacevole. Per questa ragione alla prima occasione, Franco, afferra il bel gruzzolo di buoni dollari americani racimolato nel corso dei sette anni di lavoro, e si trasferisce in Oregon nella città di Portland dove apre un magazzino. E' un tipico magazzino di prodotti agricoli dell'estremo ovest dove si possono facilmente trovare semi, zappe, badili e setacci ma si può trovare anche strutto, lardo, carne secca, legumi, abiti, stivali, sigari e qualche buona arma. Dalle sue note biografiche si apprende che, il genovese, ottiene la cittadinanza americana nell'ottobre del 1858 qualche anno prima dello scoppio della guerra indiana del Snake River. Nella circostanza, si arruola nella milizia dello Stato dell'Oregon e dichiara la propria fedeltà agli Stati Uniti d'America giurando di difendere la federazione anche a costo della vita. Eroici intendi che il buon genovese conferma sul campo di battaglia. Difatti, l'italiano, si distingue nella campagna d'inverno contro gli indiani del 1866 durante le battaglie di Camp Crook e di Camp Warner e in modo particolare nella battaglia di Malheur River, un affluente del fiume Snake, durante la quale gli uomini della milizia con un abile manovra accerchiano una grossa banda di indiani Walula costringendoli ad arrendersi mentre altri guerrieri scappano senza sparare un solo colpo di fucile. Il genovese, grazie alla sua forte costituzione fisica, sopporta facilmente le difficoltà della dura vita militare nei gelidi inverni del nord America. Finita la guerra, Franco Villa, torna nella sua Walla Walla e sposa, nel 1872, Marie Reible di nazionalità svizzera che lo rende padre di cinque figli. A pochi chilometri a sud della città acquista 35 acri di buon terreno dove costruisce una bella fattoria. Null'altro si conosce di questo genovese per il quale possiamo immaginare che qualche gelida zolla di terreno dell'amato Selvaggio West raccoglie le sue spoglie mortali.

venerdì 26 agosto 2011

Eugenio Amoretti una vita in Wyoming

Il veneziano Amoretti Eugenio è un personaggio dal carattere poliedrico e d'animo avventuroso. Di nobile famiglia, nasce a Venezia nel 1817, e già da giovane mostra una particolare attrazione per le notizie provenienti dalle terre del nuovo mondo. Proprio a causa del suo carattere intraprendente, pur essendo già maturo negli anni, Eugenio, nel 1868 lascia Venezia e s'imbarca per l'America. L'avventura americana non è affatto facile. Nei territori del lontano ovest, dove regna incontrastata la legge del più forte si tempra e si completa il già forte carattere di Eugenio. Egli è talmente affascinato dalla bellezza e dalla ricchezza dei luoghi che, pur di continuare a vivere in quelle sconfinate e selvagge terre, non lesina impegno, spirito di sacrificio e coraggio. Nonostante il costante pericolo dovuto alle scorribande degli indiani e dei razziatori di bestiame, Eugenio, non rinnega la sua scelta. Dopo alcuni infruttuosi tentativi di sfondare nel mondo degli affari si stabilisce in modo definitivo a South Pass City nel Wyoming nella Contea di Fremont, la città dell'oro. In questa piccola cittadina l'uomo d'affari veneziano fa fortuna. In breve tempo diviene proprietario di alcune miniere d'oro che gli rendono ottimi guadagni. I proventi delle attività minerarie sono investiti nell'acquisto di terreni che vengono impiegati nell'allevamento di bestiame. Eugenio diviene un influente e stimato cittadino tenuto in grande considerazione dalla collettività della contea. Quindi, apre magazzini ad Atlantic City, a North Fork e a South Pass City. E' considerato uno dei più ricchi uomini d'affari della regione. La sua voglia di espandersi è cosi grande che senza alcuna esitazione rinuncia alla posizione raggiunta a South Pass e in compagnia della moglie Maria si sposta nella città di Lander, sempre nella Contea di Fremont in Wyoming. Qui si mette in evidenza con nuove ed azzardate iniziative. Ben presto però, l'italiano, si rende conto che, la “sua” Lander City altro non è che un misero ritrovo di mandriani. Un piccolo agglomerato di umili case di minatori dove ogni tanto qualche carovana di coloni si ferma per far provviste o per cercare le cura di un “doc”. Nel paese non vi è alcun edificio di prestigio degno di una città vera. Per questo motivo, spinto dal quell'innato senso di mecenatismo tutto italiano, si mette all'opera. Riceve dal ricco allevatore Lowe, in cambio dell'impegno di promuovere lo sviluppo della città, un appezzamento di terreno sul quale progetta la costruzione di alcuni edifici. Nonostante non sia un cattolico osservante, il pioniere veneziano, sente l'esigenza di costruire come prima struttura una chiesa che possa divenire centro di incontro dei cittadini. Difatti, 1883, l'edificio della chiesa cattolica, che egli stesso finanzia e costruisce è terminato. A questa costruzione seguono l'edificazione della Municipio, della biblioteca e della scuola. Questi immobili sono donati da Amoretti alla città. Contemporaneamente, Eugenio, non abbandona gli affari e si impegna a dotare la cittadina di una banca. Nel 1884, fonda la Fist National Bank of Lander, della quale è presidente e proprietario. La leggenda racconta che la banca non avesse casseforti o casse di sicurezza in quanto i soldi dei clienti venivano custoditi in semplici scatole di metallo sepolte nella cantina dell'edificio. Lander City, comunque, ha dato al Eugenio i giusti riconoscimenti per il suo impegno. Infatti, nel 1884, quando Lander ottiene il riconoscimento federale di “città” degli Stati Uniti, si svolgono le prime elezioni comunali. Nella circostanza , Eugenio, è eletto a larga maggioranza il primo sindaco della città. Eugenio Amoretti muore nella sua amata Lander City nel 1910. Ancora oggi, la Main Street di Lander City nel Wyomin, è dedicata all'avventuroso e coraggioso pioniere italiano.

Il figlio Amoretti Eugenio Jr. nasce a South Pass nella Contea di Fremont il 12 gennaio 1871 e prosegue l'opera di colonizzazione del padre. Infatti, subito dopo gli studi conseguiti presso l'Università di South Bend nello stato dell'Indiana s'impegna nella conduzione del Ranch di famiglia il “EA- Ranch di 240 acri posto su Horse Creek nella Contea di Fremont. Si mette in affari con la Stock Grower Bank and Bridger in Montana della quale diviene vicepresidente in più diviene azionista della Lander Electic Ligth. Eugenio viene eletto consigliere e tesoriere della città di Lender per ben due volte mettendo a disposizione della collettività americana le sue conoscenze e capacità,

mercoledì 24 agosto 2011

Alberti Pietro Cesare, uno dei primi colonizzatori di New York

Uno dei primi colonizzatori di New York è il veneziano Pietro Cesare Alberti. Nato a Malomocco - Venezia il 02.06.1608 in una ricca famiglia di mercanti. Cesare, già da adolescente mostra un carattere forte e un indole avventurosa. Ancora ragazzo s'imbarca sulle navi veneziane dove apprende il duro mestiere del mare. Purtroppo nubi scure e minacciose si ammassano sul futuro della famiglia. Infatti, gli Alberti abbracciano la religione Calvinista è ciò crea notevoli problemi alla tranquillità di Venezia. Per questa ragione, pur di sfuggire alle persecuzioni, alle angherie e alle malversazioni della chiesa cattolica, gli Alberti sono costretti ad emigrare verso la più tollerante ed ospitale Olanda. Qui Cesare mette in pratica l'esperienza maturata a Venezia e in poco tempo avvia una florida attività mercantile marinara. Ma l'avventura, il richiamo del mare e il fascino dell'ignoto non cessano di stuzzicare l'indomabile animo del giovane. Per questa ragione il 10 luglio del 1634 s'impiega presso una compagnia mercantile olandese e a bordo della nave Coninck David al comando del capitano David De Vier fa rotta verso l'America. Il viaggio è duro e faticoso e nonostante i pericoli, Cesare, sbarca sulle coste del Nuovo Mondo. Alberti non si perde d'animo e con un drappello di cacciatori e mercanti olandesi si inoltra nei vergini ed inesplorati territori a ridosso della Baia di Hudson. Qui, purtroppo, non trova facili condizioni di vita. Le scarse risorse economiche, le difficoltà ambientali e le insufficienti conoscenze del territorio gli rendono impossibile la sopravvivenza. L'avventuroso colono italiano comunque non è ancora vinto. Sfruttando le conoscenze in campo mercantile, Cesare, stringe un buon sodalizio con un pioniere di origine inglese con il quale si impegna prima nel commercio di pelli e successivamente nella coltivazione del tabacco. All'esordio l''attività agricola non è redditizia in quanto la bonifica del terreno, le interferenze delle compagnie mercantili e le scorribande dei nativi rendono l'ambiente aspro e insicuro. Con grande coraggio, sacrificio, caparbietà e spirito di sopravvivenza Cesare supera le difficoltà e nel giro di qualche anno comincia a raccogliere i primi frutti. I risultati sono ottimi, il prodotto è buono e viene venduto ad una compagnia mercantile inglese con la quale Cesare nel frattempo ha stretto rapporti di collaborazione. Conosce una ragazza olandese di nome Judith Janse Meynir la sposa e lo rende padre. In poco tempo acquista vari appezzamenti di terreno. Il primo di circa 60 acri è situato in una zona che in futuro diverrà Brooklyn mentre il secon do di circa 40 acri è situato nell'attuale Manhattan. Alberti non trascura i rapporti con con i guerrieri delle tribù indiane non ostili .divenendo grande amico dei Delaware, Micmac, Potawatomi e Chippeway con i quali instaura un ottimo rapporto di vicinato che gli permette di commerciare indisturbato in pelli e pellicce. Purtroppo, come le storia del continente americano insegna, non tutti i nativi si mostrano pacifici nei confronti “dell'arrogante uomo bianco”. Infatti, il 9 novembre dell'anno 1655, nella zona di Long Island, un gruppo combattente di guerrieri della tribù degli Illinois, attacca la fattoria di Alberti. Cesare è solo con la famiglia la sua resistenza è eroica ma vana. Viene selvaggiamente ucciso e privato dello scalpo insieme alla giovane moglie Judith. Fortunatamente, per un inspiegabile mistero, i figli della coppia riescono a sopravvivere al massacro trovando rifugio in uno sperduto avamposto di cacciatori olandesi. Albertis Pietro Cesare è considerato a giusta ragione uno dei primi colonizzatori italiani che contribuisce a rendere vivibile il territorio della Nuova Olanda dove nascerà New Amsterdam. Infatti il piccolo fortilizio costruito sulla punta meridionale dell'Isola di Manhattan nella valle del fiume Hudson altro non è che il primo embrione di New York. E proprio nel parco di questa città vi è una targa commemorativa in bronzo che ricorda agli americani il contributo dell'italiano nel processo di colonizzazione. Alberti è uno dei primi esempi di americanizzazione del cognome. Difatti i figli dello sfortunato eroe veneto, nel corso degli anni, vedono cambiare il proprio cognome in : Albertis - Alburtis - Bertis – Burtis.

Albertis Pietro Cesare è padre di tre figli maschi e due bambine. Il Primo figlio John Burtis si trasferisce nella Contea di Manmouth in New Jersey, il secondo James si trasferisce a Foster's Meadows mentre il terzo Arthur colonizza il territorio di Hempstead a Long Island.


venerdì 19 agosto 2011

Scivicco Vincenzo, pirata o pioniere

Il villaggio di Port Vincent è situato nello stato della Lousiana precisamente nella Livingston Parrish che fa parte dell'area metropolitana di Baton Rouge. Oggi il piccolo e ameno villaggio posto sulla riva del fiume Amite conta circa cinquecento abitanti. Cosa centra Port Vincent con i pionieri italiani? Andiamo in ordine. Scivicco Vincenzo nasce a Napoli nel 1784 in una umile famiglia di marinai. La sua infanzia è segnata dalla prematura perdita del padre. Il triste episodio segna l'esistenza del giovane Vincenzo il quale è costretto ad abbandonare la casa paterna e ad avventurarsi nel mondo in cerca di fortuna Infatti, la madre, povera donna, non essendo in grado di provvedere al mantenimento dei figli è completamente dipendente dalle poche risorse che il Regno di Napoli e le istituzioni religiose mettono a disposizioni delle popolazioni indigenti. Vincenzo, ormai ventiquattrenne, s'impegna nel mestiere del mare e all'alba di un tiepido giorno di primavera del 1807, s'imbarca come mozzo su una navetta francese in partenza per le terre americane. Sbarcato a New Orleans, Vincenzo, si arruola tra gli uomini del famoso avventuriero ed esploratore francese Lafitte con il quale viaggia ed esplora le terre della Louisiana. E' una vita dura e difficile. Vincenzo, diviene un abile cacciatore e guida e subito si mette in evidenza per le sue capacità operative e di comando conquistando in breve tempo la fiducia e la personale amicizia del comandante Lafitte. Negli anni a seguire, Vincenzo, ormai conoscitore di quelle terre e padrone della lingua francese, abbandona la pattuglia di Lafitte ed inizia una propria opera di colonizzazione. Nel corso di questo periodo il pioniere napoletano costruisce avamposti per i cacciatori, segna nuove piste, esplora territori e si inoltra nelle terre più selvagge dove regnano incontrastate le tribù indiane. Per raggiungere i presidi fortificati delle compagnie mercantili francesi e gli accampamenti degli indiani, Vincenzo, è costretto a risalire il fiume Amite. Per questo motivo acquista ed equipaggia una piccola goletta mediante la quale effettua trasporti lungo il corso del fiume. La goletta di Vincent Scivicque, effettua il viaggio di andata trasportando viveri, polvere da sparo, alcool, attrezzi, sementi e materiale da costruzione mentre al ritorno trasporta pelli e pellicce. Non di rado, aspetto alquanto negativo della personalità di questo intrepido pioniere, si dedica anche al trasporto di schiavi. Il napoletano è il dominatore di quel tratto del fiume Amite. Nessuna imbarcazione, nè carri di coloni o di cacciatori può attraversare quel tratto del fiume Amite senza l'autorizzazione di Vincent Scivicque al quale bisogna pagare il dovuto pedaggio. La fama di Vincenzo diviene mitica. Per alcuni egli è un pirata dedito alla tratta degli schiavi, per altri è un abile esploratore e per altri ancora è un fedele suddito francese. Può essere tutto e niente il fatto importante è che nel corso degli anni l'attività del napoletano assume una importanza sempre più vitale per la zona. Infatti , Vincent, si vede costretto ad organizzare un punto di raccolta da dove smistare le merci in arrivo e in partenza. Questo avamposto, chiamato originariamente “Scivicque Ferry”, è il primitivo nucleo del piccolo paese di Port Vincent, chiamato in questo modo in onore del pioniere napoletano. Il piccolo centro di colonizzatori diviene il più importante e forse l'unico punto per attraversare il vivace fiume Amite e quindi raggiungere dalla Livingston Parrish la Ascension Parrish. Nel 1824, Vincenzo, forse nostalgico della tradizione italiana, dona alla collettività di Port Vincent un appezzamento di terra ben squadrato sul quale costruire il cimitero del paese. Vincenzo, preoccupato di assicurare una degna sepoltura per sé e per i suoi discendenti, costruisce una piccola cappella di famiglia che nel 1839 viene consacrata con una solenne cerimonia religiosa. Il pioniere italiano, muore nel suo piccolo villaggio di Port Vincent nel 1870 consapevole di aver contribuito in modo importante allo sviluppo della regione.